Un progetto fotografico che parla di un luogo-non-luogo in un tempo-non-tempo.
Kolmanskop, una ex cittadina diamantifera nel sud della Namibia, abbandonata ormai da quasi un secolo, rappresenta l’ennesimo esempio dell’avidità dell’uomo nei confronti della natura, e della sua arroganza e sprezzo nello sfruttamento di risorse volte a soddisfare i finti bisogni del lusso, in nome del denaro. Questo progetto racconta come la forza della natura che recupera sugli abusi dell’uomo può trasformare in bellezza anche la visione della rovina.
Kolmanskop
Ho scoperto di questo posto grazie ad una scena di Samsara, un docufilm del 2011 diretto da Ron Fricke: un timelapse di pochi secondi mostrava una stanza di un posto abbandonato, pieno di sabbia quasi fino al soffitto, come ne fosse stato immerso. Nella scena velocizzata, la luce del giorno che filtrava dalla finestra cambiava velocemente intensità e inclinazione fino a lasciare spazio alla notte e a le stelle che si intravvedevano dalla spaccatura sul tetto. Sono rimasta folgorata!
Quel posto era incredibile, ho sentito in gola un senso di nostalgia misto a desolazione e tristezza, e allo stesso tempo ho visto la bellezza delle onde di sabbia che con la loro sinuosità sembravano un mare fermo eppure in continua mutazione dentro ad una stanza. Ho desiderato ardentemente vedere quel luogo di persona, anche se all’epoca sembrava più una fantasia che una possibilità!
La storia
Negli ultimi anni mi è capitato spesso di ripensare a questo luogo, e ogni volta sentivo dentro un forte desiderio di vederlo con i miei occhi, e magari poter capire di più di quel senso di nostalgia misto a bellezza, di poterlo cogliere e intrappolarlo in un’immagine. Così ho fatto delle ricerche.
Nel 1908 un operaio impiegato nel mantenimento della linea ferroviaria che passava in quella zona, trovò alcune strane pietre luccicanti, erano lì…alla luce del sole in mezzo alla sabbia mentre ripuliva le rotaie da quest’ultima portata dal vento. Le raccolse e le portò al suo capo.
Venne fuori che le pietre erano diamanti e che proprio quella collina era il più grande giacimento di diamanti mai scoperto fino ad allora… di lì a pochissime settimane intere squadre di minatori tedeschi (che all’epoca controllavano il territorio) avevano già costruito una città perfettamente funzionante e dotata di ogni comfort nel cuore del deserto.
Grazie alla ricchezza dei diamanti, la città costruita era tutt’altro che un compound di minatori, ma aveva invece tutta l’aria di una bellissima e pittoresca cittadina bavarese, lussi della classe borghese europea compresi!
Case dall’architettura elaborata per ospitare architetti, medici, scuole e i manager della miniera, un efficiente sistema di rifornimento per l’acqua che arrivava da centinaia di chilometri di distanza in enormi cisterne via rotaia ogni giorno e in quantità ben maggiori al fabbisogno della città, giardini fioriti con bellissime rose ed eucalipti, inservienti che spazzavano via la fastidiosa sabbia dai vialetti ogni giorno, sale da ballo e pub, e perfino teatri.
Kolmanskop nacque e crebbe nel boom dei diamanti, ma lo sfruttamento senza controllo del terreno nelle decadi successive porto a esaurire i depositi già intorno ai primi anni ’30.
Nel 1928 venne poi scoperto un nuovo giacimento ancora più grande 300km a sud di Kolmanskop, e tutti i minatori, i manager, i dottori, gli architetti abbandonarono le loro case e tutto ciò che avevano costruito per correre a sud e trovare una nuova fortuna.
La città si svuotò di colpo, esattamente come era stata costruita, venne lasciato tutto lì. La sabbia che prima veniva spazzata via ogni giorno, ora si posava granello dopo granello su ogni centimetro della città ormai fantasma.
La mia esplorazione
La storia della città è affascinante, e mi convinco che voglio e posso raccontarne la suggestione attraverso le immagini. Finalmente decido di organizzare il viaggio che mi condurrà in Namibia e mi preparo a esplorare questo posto.
Dopo aver recuperato i permessi necessari, fisso l’uscita poco prima dell’alba: la collina su cui sorge la città è esposta a est, appena il sole farà capolino dalle montagne, le facciate delle case in decadenza si infuocheranno e la luce radente e laterale, filtrando dalle finestre, delineerà nettamente il profilo delle onde di sabbia.
Quando arrivo a Kolmanskop ho una idea generica dello scenario che mi troverò davanti e di che tipo di scatti vorrei fare, ma in realtà non posso sapere esattamente come andrà: decido quindi di lasciarmi trasportare da ciò che vedo.
Superato il cancello di check-in e mostrati i permessi alla guardia della NAMDEB, mi addentro lentamente e silenziosamente nel villaggio. Alcuni coyote ululano dal crinale. Sulle porte dei primi edifici che incontro, si notano dei cartelli di avvertenza che ricordano che la visita alla città è a “proprio rischio e pericolo”, che le case sono pericolanti e che potrebbero esserci serpenti o altri animali nascosti. Dopo un primo impatto con la realtà pericolosa che sto per affrontare, mi sorge un sorriso: dopotutto, ora questo villaggio è tornato ad essere di proprietà della natura, e io sono solo un’ospite…una sensazione che in effetti ho sentito durante tutta la permanenza in Namibia.
Quella di Kolmanskop, ma soprattutto quella del deserto che si riprende il suo posto, è una storia che a i miei occhi merita di essere raccontata per immagini. In qualche modo nonostante la desolazione delle case in rovina e dei motivi meschini che le collocano ancora lì un secolo dopo, nel mezzo di un ambiente naturale straordinario, ci trovo della bellezza da esprimere, una bellezza fatta di rivincita.
Piano piano entro nelle case, il sole ancora non è sorto, e la luce livida del primo mattino rende tutto così misterioso e cupo. Un vento caldo ulula dalle fessure delle case, passo dopo passo le assi scricchiolano, e a ogni stanza il mio cuore sobbalza per la tensione di non voler disturbare qualche animale che ha trovato rifugio per la notte: dopotutto siamo in Africa, gli animali selvatici qui non sono sempre amichevoli!
Di stanza in stanza mi rendo conto come il mio attraversare ogni porta sia come passare da un mondo ad un’altro. Le case ne hanno tantissime, sembrano labirinti. Di ciò che rimane sulle pareti si intravedono colori e carte da parati diverse, ogni ambiente sembra avere una sua identità e le porte rappresentano dei varchi tra mondi.
In alcune case, in alcune stanze, la sabbia arriva quasi al soffitto, le porte sono intrappolate, a volte socchiuse o a volte spalancate, immerse e immobili. Sembra come se fosse avvenuta una colata improvvisa di sabbia, entrata dalle finestre e dalle porte, che abbia fermato tutto…eppure ogni granello è arrivato qui lentamente trasportato dal vento in quasi un secolo.
Il progetto
Ho deciso di raccontare Kolmanskop attraverso le sue porte, le sue finestre.
Queste porte-portali come simbolo di passaggio tra ciò che questa città era un tempo e ciò che è ora, un luogo di lusso per l’uomo nel passato che ha lasciato posto alla rovina di oggi. E al contempo un luogo snaturato dall’uomo per renderlo perfetto rispetto ai propri canoni artificiosi e che ora invece torna ad riacquisire il sapore delle proprie caratteristiche originarie.
Porte in fila una dopo l’altra, porte bloccate dalla sabbia o distrutte per il peso di questa, porte che dividono ambienti ma che li mettono in comunicazione, porte che ti fanno attraversare un luogo che non è più umano ma che ne porta ancora i segni ora sbiaditi, porte attraversate da tracce e impronte di nuovi e legittimi abitanti, porte che non dovrebbero essere qui in mezzo alla natura, ma che proprio perché ci sono raccontano una storia di rivincita.
In tutto questo abbandono, trovo che la bellezza della natura che riprende ciò che era suo, che ripristina se stessa, sia prepotente! Questa visione agrodolce ci ricorda quanto, nonostante l’avidità dell’uomo, il pianeta è qui per restare, ben più a lungo di noi.
La decadenza e la presenza delle case in rovina che rappresentano l’arroganza e la brutalità dell’uomo come sfruttatore, rendono ancora più evidente la forza di una natura che si recupera nonostante tutto.